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L’infezione da Covid-19 per i cardiopatici può essere più pericolosa rispetto alla popolazione generale.
Da una ricerca condotta in Cina e pubblicata su Chinese Journal of Epidemiology, che ha preso in esame oltre 72.000 pazienti, emerge che il tasso di mortalità può arrivare anche al 14,8 per cento nelle persone over 80 e che, in presenza di cardiopatia cronica, aumenta i rischi di prognosi negativa.
Si arriva al 10,5 per cento di possibile mortalità in caso di malattie cardiovascolari in atto, al 7 per cento circa per chi soffre di diabete, al 6,3 per cento dei malati con malattie respiratorie croniche e negli ipertesi, non trattati, il rischio è intorno al 6 per cento. Per quanto riguarda il sesso, la mortalità totale appare più alta negli uomini (2,8 per cento) in confronto alle donne, in cui arriva all'1,7 per cento. Anche l’American College of Cardiology ha messo in guardia le persone che hanno problemi cardiaci, quali infarto, scompenso o aritmie, sui rischi legati all'infezione da coronavirus.
Il rischio è che si crei un circolo vizioso estremamente pericoloso tra infiammazione, ridotta capacità di ossigenazione del sangue e aumento del lavoro cardiaco, per l’evidente aumento del metabolismo e della frequenza cardiaca. L’infiammazione crea una serie di fenomeni che si rivelano nocivi per il cuore: tachicardia e aumentato stress cardiaco, secondario a carenza di ossigeno e al rilascio di citochine (sostanze che inducono proprio l’infiammazione).
Se in tutto ciò esiste una placca lungo un’arteria coronarica, questa può diventare “instabile” e rompersi, portando ad una trombosi, con occlusione del vaso stesso e comparsa dell’ischemia miocardica.
La raccomandazione è quindi di non trascurare alcun sintomo e contattare il proprio medico curante e cardiologo di fiducia appena compaiono i primi sintomi, al fine di prevenire i potenziale danni infettivi sul sistema cardiovascolare.
di Andrea Bisciglia, Cardiologo e Responsabile Osservatorio Sanità Digitale Aidr
Da una ricerca condotta in Cina e pubblicata su Chinese Journal of Epidemiology, che ha preso in esame oltre 72.000 pazienti, emerge che il tasso di mortalità può arrivare anche al 14,8 per cento nelle persone over 80 e che, in presenza di cardiopatia cronica, aumenta i rischi di prognosi negativa.
Si arriva al 10,5 per cento di possibile mortalità in caso di malattie cardiovascolari in atto, al 7 per cento circa per chi soffre di diabete, al 6,3 per cento dei malati con malattie respiratorie croniche e negli ipertesi, non trattati, il rischio è intorno al 6 per cento. Per quanto riguarda il sesso, la mortalità totale appare più alta negli uomini (2,8 per cento) in confronto alle donne, in cui arriva all'1,7 per cento. Anche l’American College of Cardiology ha messo in guardia le persone che hanno problemi cardiaci, quali infarto, scompenso o aritmie, sui rischi legati all'infezione da coronavirus.
Il rischio è che si crei un circolo vizioso estremamente pericoloso tra infiammazione, ridotta capacità di ossigenazione del sangue e aumento del lavoro cardiaco, per l’evidente aumento del metabolismo e della frequenza cardiaca. L’infiammazione crea una serie di fenomeni che si rivelano nocivi per il cuore: tachicardia e aumentato stress cardiaco, secondario a carenza di ossigeno e al rilascio di citochine (sostanze che inducono proprio l’infiammazione).
Se in tutto ciò esiste una placca lungo un’arteria coronarica, questa può diventare “instabile” e rompersi, portando ad una trombosi, con occlusione del vaso stesso e comparsa dell’ischemia miocardica.
La raccomandazione è quindi di non trascurare alcun sintomo e contattare il proprio medico curante e cardiologo di fiducia appena compaiono i primi sintomi, al fine di prevenire i potenziale danni infettivi sul sistema cardiovascolare.
di Andrea Bisciglia, Cardiologo e Responsabile Osservatorio Sanità Digitale Aidr